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  • Immagine del redattoreSabrina Ciuffreda

Segna-libri: "La vergogna"


Annie Ernaux "La vergogna"

Ci sono eventi che lasciano un segno indelebile, un tratto di penna incancellabile. Eventi che rappresentano una linea di demarcazione del senso di sé, della vita, degli altri e che costringono ad un radicale cambiamento di senso,significato. Eventi rispetto ai quali esiste un modo di essere-sentire-pensare di “prima” e uno di “dopo”.

E’ con eventi di così profonda portata esistenziale che Annie Ernaux invita il lettore a confrontarsi.

Con il suo linguaggio essenziale, pulito, chiaro e mai banale il lettore è con lei nel momento che segna la fine della sua infanzia e la fine del mondo scontato e certo vissuto fino a quel giorno, 15 giugno 1952. Il trauma scaraventa in un universo senza certezza né strumenti adatti ad indagarlo. Il “mondo di prima” interiore è sguarnito, nudo, attonito e vergognoso davanti all’immensità di una scoperta che sovrasta, sconcerta. L’esperienza non può essere tradotta in parole che pure aiuterebbero a delimitarla e definirla,a renderla conoscibile. Il vero trauma è un’immagine, una sensazione, emozioni fluttuanti, paure improvvise e insensate, è stigma vergognoso, indecifrabile, idee su di sé svalutanti e inibenti.

Dal momento in cui la scrittrice può renderlo intellegibile scrivendolo, può anche accedere al momento successivo, quando quello stesso mondo può essere pensato, valutato, sentito nelle mille sfumature emotive che suggeriscono significati nuovi a gesti antichi.

Annie Ernoux ci narra il momento in cui “mio padre ha voluto uccidere mia madre” e attraverso fotografie, ritagli di giornale, ricordi, ricostruisce il mondo certo e definito della sua infanzia, la scuola cattolica, i precetti a cui bisognava attenersi, i gesti e le abitudini che demarcavano l’appartenenza sociale ad una classe elevata piuttosto che ad una più popolare. E la vergogna nello scoprire che quel gesto del padre apparteneva ad un intero universo in cui i principi, i precetti, i valori che le erano stati inculcati erano vuote parole, buone forse per altri ma non per lei, una maschera a cui attenersi con la perenne vergogna di chi sa che prima o poi la verità verrà esposta. La violenza con la quale il padre ha smascherato quel mondo di apparentemente sani principi, ha lasciato Annie bambina e poi adolescente e adulta con la perenne sensazione che un gesto anche irrilevante avrebbe prima o poi resa pubblica la menzogna, marchiandola per sempre agli occhi suoi e degli altri: “sulla soglia illuminata è comparsa mia madre, spettinata, taciturna per via del sonno, in una camicia da notte stropicciata e macchiata (la si usava per asciugarsi dopo aver urinato). La signorina L. e le altre allieve, un paio, hanno smesso di parlare.”

Tuttavia è a partire da quella memoria e dalla rielaborazione di quella memoria – unico legame che la Ernoux riconosce con la bambina di un tempo- che le è dato diventare donna, riappropriarsi del suo corpo e del linguaggio, l’unico strumento- per lei è lo scrivere, trovare le parole- che permette di smontare e ricostruire identità.

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