Chiara Sinchetto
Segna-Libri: “L'incubo di Hill House”

Shirley Jackson "L'incubo di Hill House"
«Theodora la guardò gravemente.
«Ho la sensazione» disse «che dovresti tornare a casa, Eleanor».
Sta ridendo di me? si chiese Eleanor; ha deciso che non sono adatta a rimanere?»
(pag. 113)
Con “L’incubo di Hill House” siamo ben lontani dalle classiche storie di fantasmi e di case infestate.
Certo, potrebbe sembrare il contrario: ci viene rivelato fin dalle prime righe che Hill House non è sana e che forse qualcosa si muove al suo interno.
La trama in fondo è semplice: il professor Montague, un antropologo interessato a studiare fenomeni paranormali, invita alcune persone ad Hill House, che sembra essere infestata e maligna, non si sa se a seguito di alcuni fatti sanguinosi avvenuti al suo interno, o se al contrario questi siano l’effetto della malvagità pregressa della casa.
Queste persone sono Eleanor, la protagonista, una ragazza di trentadue anni che ha finora vissuto all’ombra della madre malata, accudendola e rinunciando alla vita. Ora che la madre è morta, lei si ritrova a fare una delle sue prime esperienze del mondo esterno in Hill House: sognatrice e timida, narcisista e focalizzata su sé stessa come una bambina, è stata invitata dal professore per alcuni fenomeni di poltergeist in cui si era trovata coinvolta da giovane.
Così, Theodora, la seconda ospite, pare a sua volta particolarmente ricettiva verso i fenomeni soprannaturali: anticonformista e ribelle, intreccia con Eleanor un’amicizia che progressivamente diventa sempre più caratterizzata da piccole angherie e malvagità, non si sa se per l’effetto della reclusione nella casa.
Il terzo ospite è un membro della famiglia che possiede Hill House: Luke viene presentato come un rampollo annoiato, avido e mai cresciuto davvero.
La casa sembra però, tra tutti loro, ben più interessata ad Eleanor, nella cui mente ad un certo punto entriamo e non usciamo più, fino al tragico finale.
Non è la classica storia di fantasmi perché viene insinuato un continuo dubbio tra l’ipotesi di una casa infestata, Hill House, o di una mente turbata, quella di Eleanor.
Eleonor vede, pensa e sente cose che non sappiamo quanto siano reali: nel suo personaggio Shirley Jackson condensa e porta all’estremo le identità femminili spezzate degli anni ‘50, spesso senza rapporti con gli altri e con il mondo esterno, preda di paure e paranoie alleviate con gli psicofarmaci, vittime di un’epoca in cui o ci si ribellava, come Theodora, o si soccombeva ad un destino scelto da altri.
«Quelle lettere componevano il mio nome, e nessuno di voi sa che effetto fa…è così familiare».
[…] «Guardate: c’è una sola Eleanor, ed è tutto quello che ho. Non sopporto di vedere che mi dissolvo, scivolo via e mi separo, di modo che vivo solo in una metà, nella mia mente, e vedo l’altra metà di me inerme e frenetica e trascinata e non ci posso far nulla, ma so che tanto non mi farò veramente male, eppure il tempo è così lungo e perfino un secondo dura tantissimo e io potrei sopportare qualunque cosa se solo potessi arrendermi…».
«Arrendersi?» disse bruscamente il professore, e Eleanor sbarrò gli occhi.»
(pag. 152)
Così, Eleanor riesce per la prima volta ad avviare un’indagine su di sé, entrando in contatto con l’esperienza perturbante di una casa in cui le porte si aprono da sole, qualcuno cerca di entrare in camera di notte e spira un’aria gelida in certi punti. C’è sempre un contraltare razionale, una spiegazione possibile che ci viene offerta, instillando in noi un dubbio sempre più forte.
La tentazione di arrendersi alle presunte forze diventa sempre più pressante: in fondo, Eleanor non ha alcun altro posto in cui andare e questa rappresenta la sua prima esperienza lontano da casa, dall’oppressiva sorella e dal marito di lei. La sua identità adulta non ha mai potuto formarsi a pieno, non essendosi potuta sperimentare: così, l’unico modo che ha di entrare in contatto con gli altri è di imporre la sua presenza, che verrà però rifiutata.
Ed ecco che "L'incubo di Hill House" è insieme romanzo gotico dell’orrore e tragedia profondamente intrisa dello spirito del suo tempo.
Anche Stephen King, in "Danse Macabre", ne dà una lettura che parte dalla concezione del nuovo gotico americano e dal narcisismo infantile della sua protagonista: forse è proprio questo che l’ha resa preda privilegiata per la casa.
«Il vero pericolo pare venire da Montague, ancor più che da Luke, e più di tutti da Theo. ‘Sei un misto di perfidia e ingenuità’, sbotta Theo quando Eleanor si rifiuta di farsi tingere le unghie dei piedi di rosso. Anche se all’apparenza lei non dà peso alla frase, un concetto simile rischia di far traballare le fondamenta della sua esistenza. I suoi compagni d’avventura le testimoniano la possibilità di un altro modo di vivere, antiautoritario e scevro di narcisismo. Lei è ammaliata e insieme respinta dall’eventualità […]. Non mi sembra esagerato suggerire che ‘Vieni a casa Eleanor’ è un ordine impartito a sé stessa; come Narciso, lei non riesce ad allontanarsi dalla pozza d’acqua.»
"Danse Macabre", pag. 323-324
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