Sabrina Ciuffreda
Narrazione, identità e l’VIII canto dell’Odissea
Ulisse approda sull’isola dei Feaci, sulla spiaggia incontra Nausicaa e le sue ancelle che attratte e incuriosite dallo straniero lo conducono a corte, da Alcinoo, il Re (Canto VI-VII).
Alcinoo offre un magnifico banchetto in onore dell’ospite, di cui nulla conosce. E qui accade qualcosa di molto particolare, l’aedo Demodoco inizia a rievocare gli ultimi eventi della guerra di Troia, senza sapere chi fosse l’ospite per il quale narrava. Ulisse è molto turbato e chiede al cantore di raccontare lo stratagemma del cavallo. L’aedo con grande maestria ricorda l’intera vicenda: la finta partenza, il dono del cavallo, le perplessità dei troiani, che comunque lo trascinano in città, la devastazione della rocca ad opera degli Achei nascosti nella pancia del cavallo. Soltanto ascoltando la narrazione delle sue gesta Ulisse si rende davvero conto di quello che aveva fatto e in quel momento l’eroe, il valoroso guerriero Acheo che aveva sfidato mostri e Dei, affrontato mille pericoli, percorso tutti i mari conosciuti si commuove e piange profondamente. Solo ascoltando la narrazione delle sue gesta Ulisse si accorge di ciò che ha passato, dei rischi che ha corso e di chi è diventato.
Il pianto di Ulisse colpisce Alcinoo, che quindi chiede al suo ospite chi egli sia. A quel punto inizia il racconto di Ulisse, che non può più nascondersi e a sua volta inizia a narrare e a svelare la sua storia e la sua identità. E’ la narrazione che “svela” l’identità di Ulisse, è la narrazione che lo commuove, è la narrazione nella quale si rispecchia che gli consente di ritrovare il senso, il significato del suo essere lì, profugo, in cerca di aiuto per poter finalmente tornare a casa.
La narrazione, la storia permette di porre la prima fondamentale domanda: “chi sono io”.
Interrogarsi sulla propria identità significa venire a contatto con una parte unica e irripetibile del Sé, ma anche saper “tenere insieme” e “far dialogare” aspetti diversi del proprio essere riuscendo a dare loro coerenza (Ulisse nel racconto è il profugo senza risorse, il più astuto dei guerrieri, l’uomo che piange le disgrazie proprie e del suo popolo).
Inoltre la narrazione assolve ad una ulteriore funzione di fondamentale importanza legata all’identità personale: il sapersi trasformare, evolvere, cambiare pur rimanendo se stessi.
La Libroterapia, proponendo un confronto diretto, un contatto con la narrazione e con altre persone con cui condividere le proprie storie, risponde al bisogno intrinseco dell’uomo di dare significato alla realtà che vive, a ciò che esperisce e a ciò che sente a livello emotivo.
Il contatto con le storie permette a ciascuno di noi di essere come Ulisse tra i Feaci, uno sconosciuto al cospetto della propria storia.
Rispecchiarsi nelle storie e riappropriarsi dei significati della propria è definirsi e dare un senso al mistero che abita in ciascuno di noi, al mistero che colora il nostro rapporto con il mondo.
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L'immagine è tratta dal web: Pellegrino Tibaldi (1527-1596) - Ulisse alla Corte dei Feaci (scena 9) - 1550-51 - Affresco - Stanza di Ulisse, Palazzo Poggi, Bologna